
Purosangue pronto a tuffarsi in battaglie scomode,“Bagdad Sean” - come lo apostrofò beffardamente il New York Times quando l’attore decise di recarsi in Iraq per osservare il conflitto con i propri occhi - è un uomo diretto: “Abbiamo vigliacchi come Bush, Condoleezza Rice e Donald Rumsfeld: dannata gente che gioca a fare John Wayne per sentirsi forte!”. Al predecessore di Barack Obama scrisse persino una lettera aperta, acquistando per l’immodesta cifra di 56.000 dollari una pagina del Washington Post: “Io non credo in una visione semplicistica e quasi invasata del bene e del male. Io credo che questo sia un mondo fatto di donne, uomini e bambini lottano per mangiare, per amare, per un lavoro dignitoso, per proteggere le loro famiglie, le loro convinzioni e tutti i loro sogni”.

Sean, figlio del regista Leo Penn, vittima del maccartismo, avverte profondamente su di sé la responsabilità civile che ritiene ogni artista debba sentire: “Dico quello che penso sulla stupidità degli Studios che considerano la massa degli spettatori un parco bestiame. A un film guerrafondaio e che della morte fa spettacolo, io ho preferito recitare in ‘La sottile linea rossa’". Accanto all’impegno c’è infatti tanto buon cinema, da attore ma anche dietro la macchina da presa, interlocutrice prediletta degli ultimi anni. Lavora con mostri sacri del calibro di Brian De Palma (“Carlito’s Way”), Clint Eastwood (“Mystic River”), Woody Allen (“Accordi e disaccordi”) e con talentuosi outsider come Gus Van Sant che lo dirige nello splendido “Milk”, giocando la propria performance a metà strada fra la strafottenza dell’over-acting, nel quale di tanto in tanto indulge, e la dolente intensità espressiva delle grandi prove. Partecipa ad uno dei migliori e più misconosciuti film di Kathryn Bigelow, “Il mistero dell’acqua” e, parallelamente, interpreta un uomo il cui quoziente intellettivo è paragonabile a quello di un bambino di sette anni nel controverso “Mi chiamo Sam”. Del suo approccio al mestiere di attore rivela: “È l'anima del mio lavoro che mi interessa. Non mi sento obbligato a fare alcunché”.

Ma è probabilmente dietro la macchina da presa che Sean sente la possibilità di manifestare appieno il proprio talento. Lo dimostrano le sue quattro opere registiche, una più intensa dell’altra, tutte improntate al lirismo quasi epico che ha fatto grande il cinema di Scorsese, Coppola e Eastwood. Mentre si prepara ad interpretare il primo film in inglese del nostro Paolo Sorrentino, “This Must Be the Place”, ha dato forfait a Cannes, (assente giustificato) nel corso della presentazione dell’unico film statunitense in concorso, “Fair Game” di Doug Liman, che lo vede protagonista a fianco di Naomi Watts (qui la nostra recensione e qui l'incontro con l'attrice sulla Croisette).

E non crediate che lo stacanovismo lavorativo, a cui va aggiunto il recente divorzio dalla moglie Robin Wright, basti al prode Sean. Raggiungerà, infatti, a Cuba, Mariela Castro, figlia di Raul, per combattere insieme la lotta per i diritti degli omosessuali nell’isola caraibica. Anarchy in U.S.A....