Una barca alla deriva che pian piano ritrova la bussola. Questo è il Festival Internazionale del Film di Roma. Quello dell'era Müller, direttore in grado di capire la gravità della situazione e adattarsi. L'edizione 2013, l'ottava, è stata caratterizzata dalla sobrietà e dalla voglia di allontanarsi da una certa arroganza o prepotenza mostrata in passato. Una mossa che è tornata a tirare fuori i numeri giusti e che ha dato ragione agli organizzatori: grazie a un numero non basso né esagerato di ospiti di fama internazionale, più film di qualità e una sfilza di eventi speciali azzeccati, il #ROMAFF8 (questo l'hashtag circolato sui social) ha attirato più spettatori in quel dell'Auditorium Parco della Musica, ottenendo una media del 70% di occupazione sale declinata nelle 402 proiezioni.
Tutti i vincitori del Festival di Roma
In quanto alla dose di glamour, basta citare la baraonda creatasi nel corso della première di Hunger Games - dove centinaia di fan sfegatati hanno pensato di arrivare sul red carpet sin dalle prime ore del mattino (qualcuno si è anche presentato già dalla sera prima) per conquistare il posto in transenna quasi con la stessa foga dello sbarco in Normandia. E se Joaquin Phoenix ha fatto i suoi soliti show da instabile in conferenza stampa, Scarlett Johansson ha invece deluso un po' le aspettative, dal momento che si è presentata al Festival soltanto per partecipare al tappeto rosso. La domanda è inevitabile: un po' troppo poco, no? Il più cool è invece Damian Lewis, arrivato per presentare il poco memorabile Romeo e Giulietta, dove interpreta papà Capuleti. Il più elegante, infine, è il regista Wes Anderson che ha presentato il corto realizzato per Prada.
Il cinema italiano trionfa al Festival (in questo caso una co-produzione italo-croata): a vincere è di nuovo un film di stampo documentaristico. Proprio come era successo a Venezia qualche mese fa con la vittoria di Gianfranco Rosi e del suo Sacro Gra. Trend o fenomeno di un'epoca? Forse tutti e due. Forse il cinema italiano ritroverà un'identità, una strada che parte proprio dal documentario. La speranza in questo caso quella di sfruttare la parola "internazionale" in modo da far risuonare questi nostri prodotti anche al di là dei nostri confini.
Detto ciò, a Müller va riconosciuta una capacità di adattarsi, scendere a compromessi e rimodellare un Festival. Scuotendolo e reinventandolo. Roma non sembra più una barca alla deriva, solo un Festival che rimane comunque alla disperata ricerca di un'identità all'interno del panorama degli eventi internazionali.
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Festival di Roma: un'edizione con i piedi per terra
L'ottava edizione è uno spettacolo che abbandona l'arroganza e azzecca qualche successo
17.11.2013 - Autore: Pierpaolo Festa